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Date: Tue, 9 Apr 1996 23:39:08 +0200
From: arcangelo <alicin-AT-teseo.it>
Subject: Bologna meeting part 2-bis






Soggettivit=E0 e antagonismo
Da quanto detto, compagni, appare chiaro che qui non ci sono nostalgici, ne' cultori di una qualche improbabile riedizione dell' autonomia del politico. Non possiamo "rifondare" un bel niente sulla base della "volonta'", di un'assemblea o di qualche bel documento: solo la lotta di classe fornisce le risposte - collettive, di prassi e teoria - alle domande politiche inevase. Ma ogni epoca presuppone un suo "livello" di soggettivita'dentro la lotta di classe - e noi quel livello possiamo e dobbiamo raggiungerlo, senza velleitarismi o forzature. Del resto l'eterna attesa dei "soggetti" potrebbe diventare una sequenza beckettiana: o sostituiremmo l'antico "attendismo della crisi" con  un attendismo del soggetto; oppure, rischieremmo di scambiare lucciole per lanterne inventandoci periodicamente un nuovo "soggetto strategico" su cui produrre un po' di letteratura.
Oggi,  nell'epoca in cui dentro le medesime reti produttive di valore, cooperano, dislocati in universi spazio-temporali diversissimi,  sezioni di proletariato organizzate in processi lavorativi di contenuto tecnologico e forme  differenti, quale criterio storico-logico permette di individuare le caratteristiche di un soggetto, quale figura egemone rispetto alle altre?
Il punto e' riconoscere che il capitalismo nella sussunzione reale del lavoro e' compresenza dei piu' diversi modi di produrre, per es., quello che viene chiamato "post-fordismo" non e' la strategia, ma una delle opzioni strategiche in mano al capitale. Onde per cui il vero punto di riferimento e' quel lavoratore collettivo che si esprime nelle fabbriche high-tech del Nord oppure nei sweatshops delle zone di esportazione del Sud, o, ancora, fra le  lavoratrici della riproduzione della forza-lavoro in un milione di condizioni lavorative diverse, nella fabrica globale della forza-lavoro, fra gli indios e i contadini del Sud del mondo, ecc. Nelle metropoli aumenta la quota di lavoro tecnico-.intellettuale su quello tradizionale manufatturiero-industriale; ma si moltiplicano i lavori servili ultradequalificati; e mentre nel sud est asiatico si addensa una grande massa operaia - con tanto di catene di montaggio e stragi di massa sul lavoro a rinverdire i fasti dell'accumulazione occidentale -, in talune vastissime aree di almeno due continenti c'e' solo spreco assoluto di forza lavoro e deriva sociale. E tutti questi spicchi di realta' ballano alla medesima musica - il prodotto ultimo del loro lavoro finisce nelle medesime reti di valorizzazione, per andare a collocarsi e trasformarsi in profitto nella stessa arena sovranazionale su cui si scannano cartelli, multinazionali, consigli d'amministrazione e governi. E' in questo contesto, dunque, che l' operaio "massa" di un fabbrica del Guantong cinese e il lavoratore informatico di una multinazionale tedesca,  oggi rappresentano lo sfruttamento dell'intelligenza e del lavoro proletario che si esercita contemporaneamente dentro il comando del capitale - con esiti materiali e sociali infinitamente diversi, ma tutti dipendenti dalla messa al lavoro generale, lavoro funzionale al capitale proprio in quanto si presenta in molteplici forme,  ed e' questa densita' della  sussunzione reale del lavoro sociale  nel capitale che ci interessa, questa generale estrazione di plusvalore sociale. Di fronte a tutto cio',  dobbiamo inventare  gli strumenti, i dispostivi,  che ci consentono di legare, attraverso il medesimo filo rosso, il filo dell'autonomia, le infinite diversita' della composizione di classe: non limitandoci a registrarle ma ricomponendole lungo l'asse strategico del rifiuto del lavoro, della riduzione drastica della gioranta lavorativa mondiale, del reddito sociale.

Senza equivoci a proposito di Rifondazione
E' qui, che sta la linea di demarcazione con Rifondazione Comunista, e' una questione di DNA, di costituzione politico-culturale. Rif., come il resto della "sinistra di classe" europea - inclusi i riciclati post-socialismo reale - ,  si colloca sulla linea della "distribuzione della ricchezza", la sua critica non riesce ad andare oltre la "misura" economica dello sfruttamento. Una funzione non disprezzabile, su cui anche noi siamo quotidianamente chiamati alla lotta, ma oltre questo, Rifondazione davvero non va e non puo' andare. Mentre in tutt'Europa la quota di ricchezza sociale proletaria va a ridursi, e mentre la produttivita' del lavoro aumenta, queste forze tentano di porre un argine a questo smottamento epocale.  E facendo cosi' non possono non guardare con nostalgia ai vecchi statuti rigidi e corporativi delle societa' fordiste: la "massima occupazione", il "posto stabile"- la garanzia della galera a vita dello sfruttamento -, l'assistenza sociale, diventano il massimo livello programmatico. Si tratta del  terreno tradizionale della socialdemocrazia: la distribuzione delle risorse. In quanto tale Rifondazione e' una forza pienamente socialdemocratica - sia detto qui con rigore scientifico, senza polemiche sul tasso di purezza rivoluzionaria - e in quanto socialdemocratica fuori tempo massimo rispetto ai cicli del capitalismo di oggi.
Noi non siamo per il ripristino del vecchio patto sociale fordista: perche' siamo stati con tutte  quelle forze che hanno contribuito a romperlo (pur non essendo riuscite, successivamente, ad evitare di trovarsi "scoperte" davanti al cavalcamento liberista di quelle istanze).   Il vecchio capitalismo legava l'accesso al lavoro ( e ai consumi) ai diritti di cittadinanza; le lotte contro il lavoro e i grandi cicli di ristrutturazione successivi hanno rotto questo nesso e quindi ogni residua dialettica tra proletariato e sviluppo capitalistico; noi non siamo per il "ripristino" di quel nesso, non chiediamo il "diritto al lavoro" ( e quando lo facciamo, e' solo per esigenza tattica). Se il capitalismo "spreca" forza lavoro non riuscendo ad inserirla nei suoi meccanismi di sfruttamento non possiamo che prenderne atto, ma  anziche' rivendicare improbabili ritorni all'indietro rispetto ai livelli di sviluppo raggiunti, esigiamo tutti i diritti sociali di cittadinanza possibili - dal reddito garantito alla piu' estesa gamma di prestazioni e spazi - che un tempo erano legati alla condizione di cittadino lavoratore. E' il capitale a non riuscire piu' a  equilibrare il peso del non-lavoro e la produttivita' dello sfruttamento: noi non vogliamo ristabilire questo equilibrio ma spezzarlo, andare fino in fondo su questa strada, dentro questo squilibrio.
E' un discorso difficile, che guarda pero' al futuro, ma e' ben piantato coi piedi nella realta' del presente e nella memoria delle sconfitte passate. Non elemosiniamo la ridistribuzione dello scarso lavoro esistente, a salari spezzati: vogliamo il reddito e ridiscutere la qualita' del lavoro e i suoi tempi in forme cosi' radicali che nessun assetto capitalistico potrebbe reggere.
Noi rappresentiamo la memoria storica di quella frazione dl radicalismo comunista che a ogni snodo cruciale della lotta di classe ha scelto l'innovazione, il salto di paradigma, l'eresia teorica e l'alternativa pratica. E del resto e' sempre stato questo il cuore del metodo marxiano nella guerra al dinamismo capitalista: quando Marx - e dopo di lui generazioni di scienziati della sovversione - guarda il terrificante spettacolo dell'impianto reale del modo di produzione capitalistico in Europa, e le ondate successive di trasformazioni, di "rivoluzionamenti" continui che ciclicamente allargano e ridefiniscono le condizioni della produzione e della valorizzazione, sa che lo sconvolgimento dei precedenti assetti sociali spazzera' via anche le forme associative, politiche, le idee diffuse su cui la resistenza di classe si era fino a quel punto assestata.   Ma  sa anche che su quella base materiale nuova il proletariato ricostruira' rapidamente un nuovo arsenale di conoscenze, lotte, esperienze, che fara' ripartire da un punto di vista piu' avanzato la guerra a morte contro la barbarie capitalista. E cosi' negli anni 50/60 , la comparsa delle forme storiche  della composizione dell'operaio massa, la sua anomalia rispetto alle precedenti figure  operaie, non trovano impreparati i filoni piu' avanzati del marxismo critico e rivoluzionario:  e su quel soggetto, che alle letture superficiali e ortodosse del riformismo, si presentava come "pericoloso", sfuggente, figlio perfido della terribile modernizzazione neo-capitalistica, si costruira' un ciclo di un ventennio di assalto al cielo. Oggi la rivoluzione delle forme di produzione e scambio - e delle reti comunicative sociali che  le informano e le strutturano - spinge necessariamente piu' avanti anche la scienza della sovversione: la critica non ha piu' ragione di rimanere confinata dentro le dimensioni distributive, quantitative, delle contraddizioni poste dall'attuale sviluppo delle forze produttive.  
Ormai, all'ordine del giorno c'e' il "cosa" si produce, "come" e "chi" comanda questi processi. I veri "post-fordisti" dobbiamo essere noi, non i padroni: non abbiamo niente da rimpiangere dall'eta' dell'oro del capitalismo, della "massima occupazione", dei salari crescenti, delle "garanzie" e della "partecipazione democratica". Quelli erano solo i segni di un capitalismo cosi' potente da riuscire a mettere in valore le lotte operaie e le istanze di radicalita' comunista che da esse promanavano. Certo, negli ultimi anni abbiamo assistito al tentativo di recuperare una certa radicalita' di contenuti e tematiche dentro una impostazione sostanzialmente "compatibilista": un po' di riforma fiscale qua, un po' di "attacco alla rendita" la', un po' di "riduzione dell'orario di lavoro" ( all'insegna della parola d'ordine profondamente rivoluzionaria: i padroni tedeschi sono piu' moderni dei nostri.), nella convinzione che, girando e rigirando, si trova pur sempre una qualche bella soluzione tecnicamnte plausibile, digeribile per tutti e ben vendibile nelle piattaforme elettorali.
Oggi i margini di riformismo sono tendenzialmente ridotti a zero: proletariato contro capitale, in mezzo non c'e' altro territorio neutrale  su cui rinnovare patti virtuosi e nuovi cicli di sviluppo. Su  questo terreno sono irrimediabilmente perduti partiti e partitini. Siamo quelli che si ostinano a parlare di qualita' della vita, non di "uscita dalla crisi". Siamo quelli che non rivendicano la ridistribuzione delle condizioni di sfruttamento esistenti, ma spostano la linea  di lotta su una gamma di bisogni sempre piu' larga e avanzata. E poi quali sarebbero i luoghi istituzionali dove contrattare qualcosa?  
Quasi trenta'anni fa la sinistra antagonista comincio' a urlare, come un disvelamento ormai acquisito, che la mistificazione democratica della partecipazione istituzionale era ormai finita, che le istituzioni non presentavano piu' alcun margine di mediazione, uso di parte proletaria. Oggi, con tutta l'acqua che e' passata sotto i ponti, chi, come Riondazione, destina ancora la gran parte delle sue risorse e strategie, alle dinamcihe elettorali, ci fa ancora piu'  rabbia.

Guardando all'oggi
A questo appuntamento assembleare arriviamo col caos dietro le spalle e anche davanti a noi. Nessuno pensi che esso sia risolutivo di alcunche' o "fondativo" di progetti "generali" che sarebbero inevitabilmente marchiati dall'autoreferenzialita'.   Solo un travaglio fortissimo, un dibattito ricco e alto, continuativo, accumulativo, non sporadico, potra' giungere a degli approdi, magari anche parziali.   Potremmo pero' dichiararci soddisfatti se, dopo queste giornate di discussione ( che avranno inveitabilmente la funzione di rottura del ghiaccio..) si arrivasse ad un appuntamento successivo, da cui non si ripartisse da zero. Se si riuscisse cio' a tessere una trama di dibattito - sui nodi delle costituzione di una forza politica autonoma e del suo percorso - finalmente non spezzata e improvvisata sull'onda degli avvenimenti. Alcuni di noi sono convinti che in Italia, tra le pieghe delle lotte autorganizzate, dentro gli ambiti di socialita' antagonista, nell'immaginario di un frammento della composizione di classe, esista un soggetto politico in costituzione: un soggetto che  alle volte urla, alle volte balbetta, spesso tace; un soggetto che ha ancora tanta strada davanti a se' per imparare a riconoscersi; un soggetto che vive i tempi e le forme della sua costituzione solo dentro, profondamente dentro, le movenze e i bisogni della composizione di classe. Ma, pur con tutte le arretratezze soggettive e i limiti oggettivi evidenti a tutti, e' solo a partire da questo soggetto, dalla sua maturazione e valorizzazione, che potra' ricostruirsi un'altra idea di sinistra, un'altra ipotesi radicale di trasformazione sociale di matrice comunista.  Rimetterci in gioco tutti, oggi, per stanare questo soggetto che vive come potenzialita' nel nostro quotidiano antagonismo, e' un imperativo politico, una condizione necessaria.
Siamo convinti che oggi esiste la possibilita' di ragionare sulla costruzione di un Luogo Nuovo dell' agire politico autonomo e rivoluzionario: un Luogo che inveri la critica della politica, verso cui convogliare  le nostre mille differenti  ricchezze.  Uno spazio di discussione permanente, un ambito aperto entro cui ci si possa collocare - o attraverso il quale, semplicemente, transitare - che valorizzi le nostre parzialita' e le sposti su un piano piu' alto. Auspichiamo che il discorso sull'autonomia di classe, sulla sua attualita' e le sue potenzialita', come dimensione ricompositiva che il movimento antagonista puo' assumere, entri nell'agenda quotidiana dei centri sociali, dei cobas e di tutte le realta' di lotta dei compagni e delle compagne. Sara' poi' la creativita', l'intelligenza e la qualita'  della domanda politica, a disegnare forme e sostanza di questi passaggi.
Ci sembra che il progetto a cui da subito si puo' lavorare sia la costruzione di un ambito permanente nazionale che dia continuita' al dibattito e al lavoro di ricerca e discussione per l'autonomia di classe come opzione strategica   Un circuito entro cui ci si collochi a partire dalla propria parzialita' di settore o territorio: ma che esplicitamente mira a superare queste parzialita', non annullandole ma arricchendole dentro un processo e un progetto costitutivo di nuove figure e dimensioni complessive dell'agire politico di parte antagonista.
Oltre a questo, per il momento, non andiamo,  confidiamo nella ricchezza del dibattito per mettere a fuoco proposte concrete che diano a queste emergenze tematiche uno sbocco piu' avanzato. Per quanto ci riguarda, davanti alla titubanza e alle prudenze che molti compagni manifestano su questi terreni, noi ripetiamo quanto gia' piu' volte ribadito dentro il percorso di costruzione di questa assemblea: non c'e' alcun bisogno di forzature, perche' sappiamo, che in tempi non prevedibili, con qualche curva o qualche deviazione in piu', in forme probabilmente inedite, la' siamo destinati ad approdare - a rimetterci in marcia, tutti insieme, per costituirci in memoria critica e agenti patogeni nei confronti del capitale, favorendo la circolazione delle lotte, mantenendo aperte le situazioni conflittuali in cui la nuova composizione di classe potra'  manifestarsi.







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