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From: mauro.jr-AT-iol.it
Date: Fri, 12 Apr 1996 00:38:15 -0400
Subject: Re:Discussion Notes of the Autonomous Network of Social Self-organisation in the North East


Rispondo alle "Discussion Notes of the Autonomous Network of Social
Self-organisation in the North East" tradotte e postate da Steve.
Sono le prime osservzioni sulle premesse metodologiche, altre, se del caso,
seguiranno.
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La prima cosa che colpisce e' la equazione "dialettica
capitale/lavoro"="mediazione".
Nella premessa ci si pone subito al di fuori del marxismo. Nulla di
drammatico; basta riconoscerlo e smetterla di giocare al marxologismo.
La dialettica fra capitale e lavoro non si risolve che nella sua sintesi (se
di dialettica parliamo) e la sintesi e' nel superamento del modo di
produzione fondato su quella contraddizione. E non pare che si sia superato
il modo di produzione capitalista. (O sbaglio?).
Ma il giochino, tipico del vecchio operaismo di Tronti e poi Negri,
continua: "the rupture of the dialectic between workers' struggles and
capitalist development (...), of the linear sequence
struggles-crisis-restructuring, followed by struggles-crisis-etcetera in a
'bad infinity'.
Parlare di rottura della dialettica puo' apparire fascinoso, ma non ha
senso. Innanzitutto quella "sequenza lineare" vive solo nella fantasia dei
vecchi operaisti italiani, non trovando alcun riscontro nella reale dinamica
del modo di produzione capitalista. Intendiamoci, puo' avvenire che le lotte
operaie spingano ulteriormente all'automazione per recuperare i margini di
profitto che gli aumenti salariali erodono, ma vedere in questo l'unico
motore della ristrutturazione e' pura miopia. Ci si dica, di grazia, dove e
quando si sarebbero verificate tanto efficaci lotte operaie che, in gran
parte dell'area Ocse, avrebbero indotto quel possente processo di
ristrutturazione che possiamo ben definire terza rivoluzione tecnologica
sotto il capitale.
In realta' qui si scambia la dura realta' delle contraddizioni proprie del
modo di produzione capitalista (dell'economia capitalista) con le fantasie
sulle lotte operaie.
E ancora (e tutto di seguito): "In real subsumption, capital poses itself as
the univocal substance of the world's fabric, as absolute foundation, as
unique subject, as self-referential totality. What can the dialectic be, if
there is no recognition of the other term of the contradiction?"
Qui, in uno stesso periodo, si introduce con le solite frasi ad effetto
un'altra "scoperta" che si fa beffe della realta'. E' verissimo, infatti,
che "In real subsumption, capital poses itself as the univocal substance of
the world's fabric, as absolute foundation, as unique subject, as
self-referential totality." Ma prima di tutto questo, e dichiaratamente
attiene alla soggettivita', ovvero al pensiero dominante (borghese) fra i
cittadini della formazione sociale borghese, e non ha a che vedere,
quantomeno in modo diretto, con la permanenza oggettiva delle classi. In
secondo luogo quella frase e il suo seguito implicano che... la sussunzione
reale, data dagli anni '970!
la famosa "dialettica", infatti, sarebbe venuta meno, sarebbe stata rotta,
giusto ora, in forza della sussunzione reale.
Dietro la retorica delle parole si svela facilmente il vuoto delle idee.
Se queste sono le premesse, per cosi' dire metodologiche, il resto sara'
conseguentemente viziato. Lo esamineremo in un prossimo capitolo, per fare
ora qualche osservazione aggiuntiva sulle medesime premesse.
Torniamo allora alla famosa dialettica capitale/lavoro assimilata alla
mediazione.
Si parla, subito prima delle nostre citazioni, della fine del vecchio patto
fordista fra capitale e lavoro e del vecchio modello di welfare-state, come
mediazione capitalista del conflitto di classe.
Patto fordista? O non invece patto socialdemocratico, cioe' sostanziale pace
sociale governata sul fronte operaio dalla socialdemocrazia  sulla base
della sconfitta della prima ondata rivoluzionaria? La differenza non e' da poco.
I partiti nazional-comunisti e/o socialdemocratici (sottoscrittori del
patto) sono visti, dai nostri neo-operaisti, non come partiti borghesi (nel
programma e nella prassi, al di la' della composizione sociologica degli
iscritti), ma come partiti comunque di classe operaia. Va riconosciuto, a
scanso di polemiche formali, che i nostri autonomi etichettano come
capitalista la mediazione del conflitto di classe, ma cio' non toglie che
continuino a considerare di classe operaia i partiti che quella mediazione
concretavano.
I nostri aut-op come il vecchio picista Tronti, concepiscono infatti la
nozione di partito operaio in modo del tutto formale, non cogliendo quindi
la fondamentale differenza che passa fra mediazione ed eversione, fra
contrattazione ed  ... espropriazione. La mediazione puo' essere, per loro,
funzionale alla eversione, la contrattazione puo' preparare la espropriazione. 
Certo il fraseggio, il wording, e' nuovo, ma il contenuto e' pari pari
quello del vecchio riformismo, flagellato da Marx ed Engels, e ciononostante
trionfante nella Seconda Internazionale.
Ma la debolezza , o meglio i gravi errori dell'impianto analitico vanno ben
oltre. Il mito tutto borghese del welfare state viene fatto proprio da
operaisti e autonomi. La economia politica riprende in loro il sopravvento
sulla critica dell'economia politica.
Le categorie keynesiane prendono il posto di quelle marxiste, di nuovo il
contrattualismo prende il posto dell'antagonismo.
In sostanza: di quale patto del welfare si va cianciando, quando Marx ci ha
insegnato cosa e' il salario e cosa e' lo stato capitalista? Previdenza,
sanita', scuola sono funzioni della conservazione e riproduzione della forza
lavoro, rientrano nel paniere di beni e servizi costituenti il salario
operaio. Nei paesi in cui il cosiddetto welfare era maggiormente organizzato
(e Italia, Francia, Germania sono fra questi), lo stato, in modalita'
amministrativamente diverse, si incarica di ritirare la quota di salario
corrispondente a quei beni e servizi per renderla appunto in beni e servizi
al proletariato (e non solo, e qui gia' stava una pratica del furto ai danni
del salario).
E' il famoso costo del lavoro, che da ogni parte ci si affanno a ridurre: il
salario complessivo (V grande) e' fatto dal totale di quanto entra nelle
buste paga (v piccolo) piu' i "contributi" complessivi (formalmente divisi
fra quelli pagati dal salario e quelli pagati dall'imprenditore). Il salario
complessivo e' fatto cioe' di salario diretto e di salario indiretto, che
viene ritirato dal proletario in forma di servizi erogati dallo stato, ma
che lui ha gia' pagato.
Quando si parla di taglio del welfare state si addolcisce una pillola ben
piu' amara: si tratta in realta' di rapina del salario, e piu' precisamente
di rapina del salario indiretto che ora gli stati stanno trasferendo
letteralmente al capitale, pagando con esso una consistente parte degli
interessi sul debito di stato.
Negare o nascondere questa verita' a) non e' un buon servizio al
proletariato; b) contribuisce a confondere le idee su ruolo e funzione dei
partiti cosiddetti operai.
Questo dimenticato fatto disvela la sostanza del famoso patto fordista, o
keynesiano, o socialdemocratico e ridimensiona di molto le "grandi lotte"
del dopoguerra che - a detta di qualcuno particolarmente fantasioso -
avrebbero addirittura indotto la crisi e la ristrutturazione (cose sentite a
Bologna).
Il patto fordista altro non e' stato in Europa che la piu' efficiente
organizzazione del capitale, tramite lo stato/capitalista collettivo, che ha
reso piu' efficiente conservazione, riproduzione e preparazione della forza
lavoro attraverso la centralizzazione dei servizi relativi, raccogliendo e
amministrando il salario indiretto. Insisto raccogliendo e amministrando il
salario e solo in minima misura attingendo alla fiscalita' generale (in
Italia piu' che in Francia).
E' tutto questo una conquista operaia? Concesso, se per conquista operaia si
intende qualunque assetto amministrativo della formazione sociale
capitalista che torna a vantaggio immediato dei salariati (meglio guadagnare
meno in busta ma avere dallo stato scuola sanita' e pensioni, che guadagnare
di piu' dovendosi pagare tutto in proprio = meglio in Europa che negli Usa
e, secondo i vecchi stalinisti, meglio nell'Urss che in Europa). Ma non e'
serio assimilare a conquiste del lavoro gli assetti amministrativi del
capitale. In realta' i partiti e sindacati firmatari di quelle conquiste,
hanno svolto il loro duplice ruolo: da una parte garantire la passivita' del
lavoro nei meccanismi della riproduzione capitalista; dall'altra contribuire
al loro perfezionamento e alla politica, propriamente intesa, della
formazione sociale capitalista. Non e' la politica la mediazione degli
interessi diversi ed eventualmente contrapposti all'interno delle
istituzioni date?
E non e' la militanza rivoluzionaria negazione della politica?
Ma qui casca l'asino e lo vedremo prossimamente.



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